mercoledì 18 aprile 2012

Nei salti in estensione si possono presentare diverse problematiche legate alle capacità degli atleti che si allenano.

Sovente le esercitazioni tecniche normali non sono sufficienti per dare all’atleta la possibilità di esprimere al meglio il gesto.

In alcuni casi, con metodi poco ortodossi, si può raggiungere più velocemente l’obiettivo di far provare e comprendere le corrette interpretazioni delle fasi che compongono il salto.

Per effettuare queste particolari esercitazioni, a volte bisogna utilizzare strumenti quali pedane, rialzi, ostacoli in genere, elastici o altro.

Nella mia esperienza ho spesso fatto ricorso a tutti questi espedienti, convinto che potessero far provare le giuste sensazioni agli sventurati/e che ho allenato e che alleno.

Tutto quello che qui espongo, è risultato valido con quasi tutti i miei atleti e atlete, non ha un valore assoluto ma può dare qualche spunto per essere adattato ad altri.

Prima di descrivere gli esercizi con i mezzi speciali, vorrei soffermarmi sull’importanza dell’esecuzione analitica dei gesti.

È mia convinzione che l’atleta debba conoscere bene la posizione in cui si deve presentare allo stacco, diretta conseguenza del corretto lavoro sugli ultimi appoggi, o di come deve uscire la gamba di volo.

Poniamo l’atleta frontalmente a un ostacolo, a una barriera delle siepi o altro, a una distanza di circa 1,5 m., in appoggio sul piede non di stacco.

Egli/ella deve andare, in equilibrio, in estensione sull’arto del penultimo appoggio e “sentire” il conseguente avanzamento del bacino.

Mantenendo la necessaria rigidità di tutto il sistema ed equilibrandosi con il corretto movimento delle braccia, deve azionare l’arto opposto che, passando sotto il gluteo con azione rotonda, deve impattare il terreno con tutta la pianta del piede.

L’estensione del piede e della gamba di stacco, con puntualizzazione dell’avanzamento del bacino, vengono completati dalla partenza della gamba di volo che deve passare sotto il gluteo con angolo del ginocchio piuttosto chiuso.

La parte finale dell’esercizio prevede l’arrivo del piede della gamba di volo sull’ostacolo.

Qui vanno considerati e analizzati posizione del bacino, delle spalle, delle braccia, l’estensione della gamba di stacco e orientamento dello sguardo.

La distanza dell’ostacolo dal punto dello stacco è determinante per ottenere un angolo di uscita corretto della gamba di volo.

Per la fase di volo, io prediligo i passi in aria, l’analisi delle posizioni può essere fatta “appendendo” l’atleta, ad esempio, alla sbarra con apposite polsiere.

Solitamente noi simuliamo il salto dagli ultimi tre passi, eseguendo poi al rallentatore la fase di volo.

L’esercizio è abbastanza difficoltoso e necessita di una buona padronanza del proprio corpo, di una discreta rigidità del sistema e di una buona preparazione della fascia addominale/dorsale.

Le posizioni nei vari passaggi e i controlli valutativi sono analoghi a quanto descritto sopra, orientamento dello sguardo compreso.

Il mancato utilizzo delle braccia come mezzi equilibratori dovrà essere compensato da un adeguato lavoro del bacino.


L’esercizio speciale più diffuso per il saltatore in lungo è lo stacco da pedana rialzata, la superficie della quale deve essere piuttosto ampia, le mie sono da cm 60 x 80, per non creare timori nell’atleta.

Questo lavoro serve per comprendere al meglio il tempo di stacco ed il corretto utilizzo del piede in una fase fondamentale del salto.

Lo stacco da rialzo è un esercizio che facilita l’azione stessa, basta pensare a quanto sono lunghi i salti nulli nei quali l’atleta poggia il piede sulle tavolette di nuova concezione.

In queste occasioni utilizzo una pedana alta 2 cm, oppure una da 8 o 16 cm quando voglio puntualizzare la componente di forza al momento dello stacco.

La rincorsa che normalmente utilizzo è compresa tra i 6 ed i 10/12 passi, a seconda dell’enfatizzazione che voglio dare alle componenti forza e/o velocità.

L’altezza del rialzo non deve essere eccessiva, per evitare che gli angoli delle articolazioni interessate si discostino troppo da quelli ottimali in condizioni normali.

Per questo motivo propongo l’esercizio solo nella fase preparatoria del ciclo di allenamento e non nei cicli più vicini alla stagione agonistica.

Staccare da rialzo consente inoltre una fase aerea più alta e lunga, con conseguente possibilità di inserire esercizi per l’apprendimento ed il miglioramento dell’azione in volo.

Ad esempio si possono inserire le circonduzioni delle braccia, o possiamo chiedere all’atleta di effettuare all’apice della parabola di volo un cambio della posizione degli arti inferiori, o ancora di battere le mani sotto al ginocchio sinistro e poi sotto a quello destro (o viceversa).

Insomma esercizi che ci consentono di valutare quale grado di controllo del proprio corpo ha l’atleta durante la fase di volo.

È da non sottovalutare poi il lato ludico e divertente di questi esercizi.

Per esasperare questi aspetti solitamente faccio utilizzare tre pedane rialzate da 8, 16 e 34 cm.

La distanza tra le prime due è maggiore, interasse a 2m-2,20m, che non tra la seconda e la terza che sono posizionate con interasse 1,60-1,80m.

Questi parametri di posizionamento delle pedane, obbligano l’atleta ad una spinta più orizzontale sul penultimo passo ed a una grande velocizzazione degli ultimi due appoggi.

Perché l’ultimo passo sia efficace per la preparazione dello stacco, la spinta sul penultimo appoggio deve avere una direttrice più verticale. Automaticamente si determinerà un corretto angolo di uscita.

Le tre pedane consequenziali danno anche la sensazione di come devono essere effettuati gli ultimi passi, nei quali l’appoggio a tutta pianta è determinante per la buona riuscita del salto.

Anche in questa situazione non superiamo i 12 passi di rincorsa, rialzi compresi.

La fase aerea si allunga ulteriormente e possiamo provare tante esercitazioni di coordinazione in volo, di chiusura ed altro.


L’utilizzo dei rialzi non può prescindere dall’avanzamento costante del centro di massa, cioè, il bacino dell’atleta deve continuare a “viaggiare” orizzontalmente.

Alleno una saltatrice in lungo che, all’inizio della carriera, aveva una carenza notevole di forza, bilanciata comunque da notevoli doti di velocità.

Altro problema era l’assetto di corsa e allo stacco, con il bacino che era sempre leggermente arretrato rispetto al modello tecnico corretto.

Decisi in quel periodo, l’atleta era alla fine della categoria allieve o al primo anno juniores, di non preoccuparmi della componente forza per esaltare le sue qualità di velocità.

Per aumentare la forza avrei avuto tempo negli anni successivi.

Abbiamo adattato quindi il “modello tecnico” all’atleta, teorizzando un salto con un’accentuata componente orizzontale, determinata da un’alta velocità di uscita allo stacco, a discapito dell’altezza della parabola di volo.

Tutto questo presupponeva però un accentuato avanzamento del bacino negli ultimi passi di rincorsa, per fare in modo che il centro di gravità continuasse la sua corsa ad alta velocità prima e dopo lo stacco.

I passi finali poi non potevano essere quelli codificati nel modello standard, a causa delle scarse doti di forza e del rallentamento che poteva risultare dall’effettuazione di un penultimo passo più lungo. Quindi l’atleta effettuava passi della stessa ampiezza accorciando leggermente l’ultimo, sul quale esercitava anche un leggerissimo caricamento.

Per far provare all’atleta la sensazione di avanzamento costante del centro di gravità, ho provato inizialmente con un elastico fissato dal lato opposto della buca al bacino.

L’elastico deve consentire dai 10 ai 16 passi ed essere in tensione almeno fino al momento dello stacco, ma questa tensione non deve risultare eccessiva perché la corsa sia comunque controllabile.

L’azione trainante dell’elastico, se correttamente assecondata, anticipa effettivamente l’azione del bacino oltre a creare un effetto di supervelocità che costringe l’atleta anche ad un utilizzo rapido e marcato dei piedi.

Però l’elastico, come dicevo, deve essere assecondato e non è facile!

Quindi ho adottato un sistema che prevedesse uno stacco da una posizione difficoltosa, cioè più in basso rispetto al piano di corsa, e che obbligasse nello stesso tempo la mia atleta ad anticipare l’azione di avanzamento del bacino prima dell’impatto con la pedana, per non finire completamente sbilanciata in avanti con il naso nella sabbia.

Ho costruito una pedana con il piano superiore inclinato di circa 6-8° e l’ho posizionata all’interno della buca di sabbia, con l’inclinazione rivolta nella direzione del salto.

In pratica tutta l’azione di rincorsa è normale ma lo stacco avviene in posizione leggermente abbassata.

L’inclinazione verso avanti poi sbilancia tutto il corpo, obbligando quindi l’atleta a trovare una soluzione per riacquistare l’equilibrio di salto. C’è un’unica soluzione!

Il bacino-centro di gravità deve essere più avanti delle spalle al momento dello stacco.

Perché questo avvenga con certezza, l’azione di avanzamento del bacino deve iniziare con alcuni passi di anticipo sull’azione di stacco.

Abbiamo iniziato con rincorse corte fino a 6 passi per prendere confidenza con l’esercizio, poi ci siamo spinti a rincorse più consistenti.

Attualmente l’atleta è in grado di saltare dalla pedana inclinata anche con 16 passi.

Nel giro di un paio di mesi, utilizzando questo esercizio una o due volte a settimana nelle sedute tecniche, abbiamo potuto apprezzare i primi cambiamenti di assetto nella parte finale di rincorsa.

L’esercitazione con la pedana inclinata ha poi rivelato alcuni interessanti risvolti.

La presa di contatto determinata da queste condizioni coinvolge automaticamente tutta la pianta del piede e l’uscita dallo stacco è molto veloce ed in proiezione orizzontale.

Dopo alcuni stacchi effettuati sulla pedana inclinata, riportando l’atleta a saltare in condizioni normali, sul piano, ho potuto constatare una maggiore efficacia in tutta l’azione di stacco, dall’approccio, alla tenuta, fino all’uscita, con parabole di volo decisamente interessanti.

Quindi ritengo che questo esercizio, difficoltante per lo stacco e per gli angoli di esecuzione rispetto ad una situazione di gara, possa essere tranquillamente utilizzato anche nel periodo agonistico.


Dopo alcuni anni, grazie ad allenamenti costanti e progressivi nei carichi di lavoro, la mia atleta ha sviluppato maggiori doti di forza, oltre ad abilità maggiori nella coordinazione e nella tecnica di salto.

Quindi, oltre alle normali ricerche di aggiustamento di rincorsa e stacco per valorizzare i nuovi parametri di forza e velocità, abbiamo preso in considerazione la possibilità di riavvicinarci al modello di salto più classico.

Per reimpostare gli ultimi due passi, ho pensato di inserire dei riferimenti per obbligarla ad un penultimo passo più lungo dell’ultimo.

Dopo aver scartato ostacoli tipo bacchette di legno, che potevano risultare pericolosi se calpestati, o righe tracciate col gesso, poco visibili, ho optato per l’utilizzo di tappetini colorati da fitness.

I tappetini, lunghi 2m e larghi 60cm, di colori sgargianti, costituiscono un riferimento visivo importante e, calpestati, non causano alcun problema.

L’unico problema può sorgere nelle giornate ventose ma si può ovviare fissandoli lateralmente.

Il tappetino viene posizionato dai 4 metri alla fine dell’asse di battuta e lo stacco è da effettuarsi dal limite di pedana, a bordo buca.

Questa sistemazione determina un penultimo passo, obbligato, di almeno 2m e l’ultimo passo, piuttosto compresso, di circa 1,80m.

In altri termini l’atleta deve effettuare una spinta più orizzontale sul penultimo passo e una grande velocizzazione degli ultimi due appoggi.

Perché l’ultimo passo sia efficace per la preparazione dello stacco, la spinta sul penultimo appoggio deve avere una direttrice più verticale.

Se le due azioni sono eseguite correttamente, si determinerà un corretto angolo di proiezione in uscita, per il movimento verso avanti-alto del bacino, ed una sensazione ritmica adeguata.


Per migliorare, o allungare, le fasi di volo e atterraggio, può essere utilizzata un’esercitazione abbastanza divertente.

Occorrono quattro paletti leggeri in plastica, tipo i supporti per le bandierine del calcio d’angolo e nastro del tipo usato per delimitare aree in edilizia o simili.

Si piantano i primi due paletti a una distanza di 1,5m dal punto di stacco e di un paio di metri tra di loro.

Tra questi due pali fisseremo il nastro ad un’altezza di 1,20 – 1,50m.

Gli altri due paletti li posizioniamo 2,5 – 3m più in là, con il nastro allacciato ad un’altezza di 50 – 60cm.

Queste misure sono comunque da rapportare al grado di capacità di salto degli atleti.

Lo scopo dell’esercizio è di impostare la traiettoria di volo e, nello stesso tempo, di ricercare la chiusura il più lontano possibile, distendendo le gambe per superare il secondo nastro.

Consiglio di partire con 6/8 appoggi per prendere confidenza con il gesto, per arrivare ad effettuare salti anche con 10 o 12 passi.

Ultimamente ho modificato questo esercizio, sostituendo a paletti e nastri dei fogli di cartone che utilizzo nell’azienda dove lavoro.

I cartoni sono da 80 x 120 cm (misure pallet standard) o 100 x 120, e basta equilibrarli con un po’ di sabbia alla base.

Essi creano meno timori nell’atleta, e grazie ad una evidente maggior duttilità, possiamo spostarli a piacimento per creare le condizioni dell’esercizio.

È particolarmente simpatico l’esercizio per l’esecuzione dei passi in volo (2 e ½), che ha costretto la mia atleta a “lavorare” fino alla fine del volo, contribuendo peraltro a migliorare l’azione conclusiva del salto.


L’avanzamento del centro di gravità, situato all’altezza del bacino, come già detto è fondamentale per la lunghezza del salto.

Nell’esecuzione di un salto triplo diventa determinante.

La costante proiezione orizzontale del baricentro è prerogativa del salto triplo moderno, nel quale la velocità è la componente più importante.

Questa interpretazione del salto è, a mio avviso, applicabile ed alla portata di tutti gli atleti.

Per sensibilizzarli al balzo veloce e radente possiamo utilizzare un elastico, in trazione, che permetta di effettuare tra rincorsa, balzi e atterraggio, un’escursione di 30-40m.

L’elastico deve essere in tensione almeno fino al momento dell’ultimo stacco o jump, ma questa tensione non deve risultare eccessiva perché la corsa sia comunque controllabile.

Per questa esercitazione tecnica fisso, con un moschettone, una estremità dell’elastico ad una cintura o ad una imbragatura che sia il più possibile vicina al baricentro dell’atleta.

L’altro capo va assicurato ad una struttura adeguata, di solito uso uno degli ostacoli per le gare sulle siepi, posizionata al di là della buca di atterraggio.

Condizione determinante per la buona riuscita dell’esercizio è che l’atleta non opponga alcuna resistenza alla trazione creata dall’elastico, che anzi deve essere assecondata.

La sensazione che sarà percepita è quella dell’avanzamento costante e rapido del bacino, con conseguenti balzi molto radenti e veloci.

Ovviamente la presa di contatto a tutta pianta deve essere sempre sotto controllo.

Ho utilizzato questo esercizio, con buoni risultati, su tutte le combinazioni possibili di balzi, alternati, successivi e misti, dal triplo al decuplo e anche più in là.


L’utilizzo dei piani rialzati nel salto triplo è certamente più problematico che nel lungo.

Se essi svolgono una funzione necessaria negli esercizi preparatori, penso ai rimbalzi pliometrici tra rialzi, la loro adozione per lo svolgimento dell’azione tecnica di salto vera e propria è abbastanza inconsueta.

Con l’impiego di un piano rialzato possiamo puntualizzare l’azione di stacco per il jump, oppure, posizionandolo sullo step andremo ad enfatizzare questo balzo.

Nello stesso tempo, con questa disposizione, oltre ad allungare probabilmente lo step stesso, metteremo l’atleta in condizione di dover sopportare e supportare un jump in condizioni più difficili a causa di un arrivo da una maggiore altezza.

Non ho, ovviamente, neppure preso in considerazione la possibilità di utilizzo di rialzo sul l’hop, condizione certamente deleteria sotto ogni punto di vista.

Tutto questo tra l’altro va contro la mia concezione del salto triplo.

Ritengo che l’azione più efficace sia quella che riscontriamo nei salti al femminile.

Meno forza e più velocità.

Quindi non uso piani rialzati per l’azione tecnica di salto se non nei periodi preparatori per gli scopi che ho indicato prima.

L’unica esercitazione che mi sento di proporre, solo con atleti abbastanza evoluti, prevede l’utilizzo di tre piani rialzati, uguali, per la determinazione della ritmica dei balzi.

È un esercizio abbastanza difficoltoso, che crea qualche timore e necessita di una buona conoscenza dell’atleta da parte del tecnico.

I rialzi, invece dei segni sul terreno, impongono una maggiore concentrazione sul gesto da parte dell’atleta.

La modulazione delle distanze degli stessi dà all’atleta diverse sensazioni che interpolate con la visione dell’allenatore portano alla scelta della miglior ritmica di esecuzione.

Lavorando con i più giovani, invece, ritengo che i segni sul terreno siano ottimali per l’impostazione della ritmica dei balzi.

Per convinzione personale chiedo ai miei atleti di non enfatizzare hop e step a discapito della velocità.

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